sabato 12 novembre 2011

Il WC Marketing


Se è vero che gli investimenti migliori sono i ristoranti e i “compro oro” perché pur si mangia e pur si campa, credo sia altrettanto onesto considerare una sommerso mercato di affari: il WC Business. Chiunque segue le regole della buona creanza, quando usa il bagno  di un locale pubblico, cede al ricatto morale di una spesa minima, dal caffè alla bottiglietta d’acqua, quasi a ringraziare l’esercente che per legge deve avere i bagni free.
Se consideriamo che dal più piccolo paesino sperduto fino alla capitale si è sempre usata la toilette come attrazione o valore aggiunto, poco ci stupisce se questa realtà prende corpo e diventa un giro di affari. Dagli autogrill, dove l’offerta diventa “a piacere”, passando per le stazioni italiane. A Roma Termini, per esempio, il WC Business è attivo già da tempo: per usare i bagni pubblici della stazione si è sempre pagato un obolo, che negli anni è salito alla cifra di 1 euro ad uso; un giro di migliaia di euro al giorno considerate le pipì di mezzo mondo che passano da lì.
A Napoli sono stati più creativi; il bar interno alla stazione, quello che ha i bagni facilmente raggiungibili, è gratuito ma ha regolarizzato la norma del paga e usi: sei costretto a fare lo scontrino per avere un codice da digitare sulla tastierina per aprire le porte dei servizi.
Inutile ricordare che siamo in Italia, allora ricordo un paesino sperduto della Scozia (tanto sperduto che non ricordo il nome) dove nel mezzo della città c’è una casina, che sembra un’abitazione, che in realtà è un complesso di servizi pubblici, pulitissimo, autogestito e soprattutto gratuito, che vanta sulle pareti gli attestati di 10 anni di “Bagni pubblici più puliti della regione”. Cioè, si premia la pulizia dei bagni che sono gratuiti! No comment, ma almeno non si dà un prezzo alle vostre urgenze.


venerdì 4 novembre 2011

È questo il posto?

Una meta raggiunta, prima sperata, poi attraversata, infine arrivata, fino quasi a disilludersi di aver trovato il posto giusto e di aver terminato il viaggio: è questo il posto, proprio questo? Il film, con il titolo di una vecchia canzone come leitmotiv di fondo, esprime limpidamente questo naturale e misterioso concetto. Avere un posto dove andare, uno scopo, solo in questo modo si riesce a misurare se stessi, le paure, il coraggio, il perdono. Senza scopo non farai cantare messe. Senza obiettivi siamo perduti, tutti. Anche se si sceglie di viaggiare solo per conoscere, bisogna avere chiaro in mente cosa si sta cercando, e lo sapeva bene l’ottimo Lello Arena, citando per me l’ormai sconosciuto autore di “chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa cosa cerca!” Eresia! Per partire si deve avere un progetto, e magari cercarlo in un altro luogo, o un altro ancora, e poi rendersi conto alla fine che si è cercato nel posto sbagliato, ma a quel punto si avrà accresciuto la conoscenza su noi stessi, affinato le tecniche di ricerca e capito che né lì, né là è il posto giusto. Uno scopo, sempre. Anche in questi tempi cattivi che ci fanno perdere ogni fantasia, e ambire sempre meno. Allora si parte dal basso, perché anche se hai una casa che vuoi comprare, un lavoro che vuoi ottenere, una persona che vuoi conquistare, è sempre bello svegliarsi la mattina e sapere che hai un “posto” da raggiungere, e strada facendo, accorgersi di come quei posti cambieranno continuamente indirizzo.


lunedì 19 settembre 2011

Il ragionevole dubbio del punto interrogativo

“La parola ai giurati” è un film del 1957. Tutte le scene sono riprese all’interno della sala dove 12 uomini, 12 giurati appunto, devono decidere della vita e la morte di un giovane accusato di parricidio. Dal processo è emersa l’apparente e schiacciante colpevolezza dell’indiziato, ma il ragionevole dubbio di uno dei dodici porterà, a mano a mano,  a dubitare di tutte le prove dell’accusa.
L’alternanza di campi totali e primi piano esalta la necessità che la costruzione della verità, perché sia tale, debba essere costruita da più voci, e condivisa dalla maggior parte, all’unanimità. Mi viene in mente l’avvertimento decrescenziano per il quale è cosa buona dubitare degli uomini dal punto esclamativo, rigidi e convinti di essere unici depositari di valori giusti e onesti; e invece accogliere i paladini del punto interrogativo che sono democratici e disposti a comprendere le ragioni dell’altro. Ciascuno vive con le proprie idee e valori, integro con la propria morale e le proprie emozioni, ma quante volte tornare sui propri passi può sembrare un segno di debolezza, di incoerenza? Spesso si confonde l’orgoglio con la dignità, la negazione con il tentativo, senza accogliere il ragionevole dubbio che può farci cambiare idea, ed avvicinarci alla verità dei fatti. Ah che persone sagge i punti interrogativi!




giovedì 28 luglio 2011

Shakespeare ha detto

Ho appena finito di vedere il penultimo film di Woody Allen. Non sono un’appassionata sfegatata del regista, ma gli ultimi suoi film, il modo di interpretare le relazioni, i sogni, le illusioni, le vite lo trovo molto interessante e ricco di  spunti di riflessione. “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni” io non lo conoscevo. Non avrà avuto il “rumore e il furore” degli altri, ma è, come sempre, incompiuto; lascia insoddisfatti.
Come la maggior parte delle cose che facciamo, sono incompiute (serve la nostra fantasia per completarle).
Il narratore inizia dicendo “Shakespeare ha detto : la vita è piena di rumore e di furore, e non significa nulla.” Il messaggio è tautologico, siamo noi che diamo significato alla vita; al furore e al rumore che subiamo, provochiamo, cerchiamo e rifiutiamo. Alla fine le illusioni, spesso, sono le medicine migliori, ma devi crederci fino in fondo, devi vivere le tue stesse illusioni, fino a respirarle, perdersi persino in esse. Senza trucchi e senza inganni, non basta crederci a metà, non serve cullarsi per un po’ di un bel pensiero: bisogna costruirli tutti i bei pensieri e tenerseli stretti, perché alla fine, sono i pensieri, i buoni pensieri che ci fanno vivere bene e riconoscere il bene intorno a noi, e vivere come nei sogni. Come da film (suddetto)!




giovedì 21 luglio 2011

“Liev man dicev’ Zi Gnese”

“Liev man dicev’ Zi Gnese” è per me e per la mia famiglia un’istituzione, una perla di saggezza, un rimedio naturale della nonna (o in questo caso della zia) che acquieta immediatamente gli animi, rilassa la mente e ti predispone ad affrontare l’inevitabile. Tutto in una battuta, e solo se recitata a dovere, con l’accentazione giusta come di chi ti schernisce perché tanto non la spunti e non raggiungi lo scopo. Il famoso detto viene attribuito a una zia di 3° o 4° grado, la quale era solita recitare le parole benedette come consiglio e monito al capitato di turno  che non riusciva a persuadere con i suoi ragionamenti l’interlocutore.
Immaginatevi la scena: due persone discutono in modo animato; l’una cerca in tutti i modi di convincere l’altro ma non ci riesce, e all’improvviso si sente, fende l’aria, un sogghigno a mezza bocca “Liev man dicev’ Zi Gnese”, e tutto, come per magia, tace e muta! Un’ energia disarmante, una catartica emozione che rilassa, un insegnamento epicureo di atarassia, un’improvvisa imperturbabilità di fronte alle emozioni, e gli animi incandescenti, toccati dall’incantesimo, per un attimo si acquietano, e ritrovano la giusta collocazione.
Questa morale è applicabile a tutte le sfere della vita umana, una lezione quasi religiosa, sulla falsariga di “Dio dammi la forza di accettare ciò che non posso cambiare!”
La leggenda racconta che questa fantomatica parente, ovviamente zita, sia vissuta per un certo periodo in Inghilterra, negli anni in cui i Beatles cantavano “Let it be”, una traduzione sommaria del suo “Liev Man”.

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lunedì 23 maggio 2011

Una vita da precaria


Dedicare la propria tesi ai colleghi laureati è sintomo di estrema sensibilità al sentire comune. In questa Italia, divisa e dilaniata dal vedersi e sentirsi diversi l’uno dall’altro, l’unica cosa che accomuna la mia generazione, e quelle temporalmente affini, è la precaria prospettiva di progetto e di vita.
Una volta la discussione della tesi ed il conseguimento della laurea rappresentavano un traguardo, uno dei pochi e meravigliosi obiettivi, neanche tanto difficili da raggiungere: un’adeguata formazione (accademica o meno), un lavoro adeguato alle proprie competenze, una bella casa dove poter vivere insieme alla famigliola costruita.
Gli obiettivi di ieri, neanche troppo fantasmagorici, oggi sono diventati un miraggio. Il mondo e le prospettive sono cambiate; i latini dicevano “O tempora, o mores!”.
Ma se cambiamo prospettiva, così come ci suggerisce il buon senso, possiamo vedere che in realtà non è che siamo andati tanto avanti, anzi, siamo tornati indietro; e non solo perché figli del Villaggio Globale, bensì artefici e protagonisti di una struttura della vita per certi aspetti simile a quella dei nostri bisnonni, ma sicuramente mutati nei legami e nelle interpretazioni.
Gli stessi valori ed obiettivi sono cambiati, o regrediti, e non per forza nel senso negativo.
Il concetto di lavoro stabile non esiste più, come non esisteva nel Paleolitico. Il valore del nucleo familiare si è trasformato: spesso, infatti, assistiamo alla cura diffusa della famiglia: nonni, zii, cugini; molto comune nell’ottocento. Lo stesso concetto di matrimonio si è evoluto nelle coppie di fatto (almeno in paesi più “visionari”), e l’affitto della casa si divide con la nuova famiglia di supporto, con i coinquilini e gli studenti, senza legami di sangue ma legami non meno autentici per quanto riguarda la visione della vita comune.
Tempo fa, un mio collega laureato, Stefano L., come massima forma di provocazione, ha pubblicato un annuncio in Rete: “Vendo Laurea”.
Il suo è un messaggio disperato, fotografa bene l’attuale valore del pezzo di carta, buono per costruire aeroplanini leggeri per far volare via le nostre illusioni.
Dedico la mia tesi a lui e a tutti i suoi colleghi laureati (me compresa), con l’auspicio di riuscire a trovare un nuovo e sano posto nel mondo, senza aspettare la manna dal cielo o dei messia di turno, ma inventori di nuove regole, di rinnovati valori; più sicuri con una buona formazione, e meno illusi dei nostri genitori.
Sta a noi cambiare il corso degli eventi, e solo se riusciamo a comprendere questa evidente verità, riusciremmo a non ritenere necessario vendere le nostre illusioni al miglior offerente.
Oggi, per me, si chiude un lunghissimo capitolo della mia vita, fatto di ovatta e campane di vetro, sacrifici superati e tante soddisfazioni festeggiate.
Speriamo che me la cavo!


domenica 1 maggio 2011

Habemus Candelaio

Questo blog news metaforicamente rinasce per dare un’altra voce, e spesso, un’altra luce alle notizie che ci circondano. Sono tante le informazioni che potrebbero attirare la nostra attenzione; gli scienziati parlerebbero di diluvio informazionale, tanto per rendere l’idea della mostruosa quantità di news che ci bombardano. Perchè allora un altro blog news? A quale scopo? Lo scopo è presto detto. Le notizie degne di essere diffuse saranno scelte da voi. Ogni giorno vengono pubblicate sui diversi social network gli articoli che corrispondono agli argomenti che vi interessano, che sono, per voi, degni di attenzione. Queste saranno pubblicate interamente, oppure rielaborate, da voi, inviandomi l’articolo, o da me, tempo permettendo. È possibile scegliere la categoria di appartenenza: se la segnalazione riguarda l’attualità, la cultura, le vostre “favole”, gli eventi che meritano e recensioni di film, vecchi e nuovi. Io la finisco qui per ora. Gli articoli troppo lunghi non sono per la lettura veloce del web.
PS i contenuti che potete inviare possono essere di qualsiasi formato: testo, foto, video. Il breve commento che li accompagnerà, porterà la firma dell’autore.
Il Candelaio

sabato 9 aprile 2011

Una vita da mediano

Una vita da mediano...è in sintesi la mia vita...e come sono contenta di averla vissuta in questo modo!!! Ligabue docet: ... a recuperar palloni, sempre un pò di aiuto a chi finalizza il gioco, i successi, la vittoria; in seconda linea, stratega e autore di successi non riconosciuti o indirizzabili a te. Chi procede un passo indietro, e non per paura di sbagliare per primo e pararsi il culo nel bisogno...solo per capire cosa succede intorno, e avere la santa umiltà di imparare, interrogarsi e adeguarsi alle cose che continuamente capitano e cambiano intorno. In medio stat virtus...solo nel giusto mezzo, secondo i padri de noiartri, si può vivere secondo saggezza, riuscendo ad essere attenti e pronti per il salto della quaglia, non esaltarsi troppo per i successi e non abbattersi oltremodo nelle sconfitte... evviva il 25!!..quando capita :P

domenica 6 marzo 2011

L'oggi è un dono...per questo si chiama presente!


Ho iniziato a leggere un libro che mi hanno regalato per il mio ultimo compleanno “Il tempo che vorrei” di Fabio Volo. Ho preso il libro, e la seconda di copertina iniziava con una frase in corsivo di una canzone cantata da Janis Joplin: “I'll trade all my tomorrows for a single yesterday: cambierei tutti i miei domani per un solo ieri.” Sono rimasta molto colpita dalla frase, dalla sua romanticheria, da quella nostalgia per la felicità che è stata e che, evidentemente, spesso si stenta a ritrovare nel presente. Eppure, non la condivido! Sarà che la mia carta d’identità dice che sono ancora giovane, e che forse è prematuro pensare che il bello della mia vita l’ho già vissuto, ma davvero, se anche ne avessi settanta, vorrei sempre sperare che i miei domani, seppure pochi, siano comunque degni di felicità, piuttosto che rimpiangere emozioni passate. E qui mi viene in soccorso un genio del cinema italiano, Federico Fellini, che sul suo letto di morte espresse l’ultimo desiderio: “Innamorarsi ancora”, perché di sicuro ci rendiamo conto che siamo felici quando condividiamo le nostre gioie e dolori con una persona, ma è allo stesso tempo felice pensare che non sarebbe mai troppo tardi per innamorarsi di nuovo e iniziare daccapo la felicità, senza barattare i domani con lo ieri! 


mercoledì 2 marzo 2011

Fratelli di Talia...l'arte della commedia

Nel mese dei festeggiamenti dell’Unità di Italia, non può non parlarsi del divario Nord-Sud, eroicamente e simbolicamente rappresentato da due città, Milano e Napoli. Non mi soffermo sulla recentissima sconfitta in campionato, meglio sorvolare! Mi è semplicemente venuto in mente un film di Eduardo De Filippo, Napoletani a Milano. Il film mette in luce i luoghi comuni delle rispettive “popolazioni”, nordiste e sudiste; tali e tante, e inconsistenti realmente, al punto che alla fine, emerge chiaro che non esiste reale differenza e che veramente siamo fatti “della stessa pasta”. La fine contiene una riflessione magistrale; il protagonista immagina di andare da Milano a Napoli in tram, un mezzo tipico dello spostamento metropolitano, fantasticando e asserendo che le distanze geografiche (così come quelle culturali) scomparirebbero se la corsa in tram non avesse nomi di città, bensì nomi delle piazze delle strade, dei vicoli delle città: Piazza Duomo – Piazza Plebiscito! In realtà, col web 3.0, la nuova rivoluzione di internet: social network, google places, videochiamate, e intercettazione dei pensieri…il mondo è diventato veramente piccolo e a portata di mano: possiamo passeggiare per le strade di Dublino, e restare comodamente seduti sulla coperta a fiori della nonna; parlare con i soldati in Afganistan e non sentire nessun rumore esplosivo; brindare al capodanno cinese e ubriacarsi con la scusa dei festeggiamenti prolungati.. siamo tutti più vicini, eppure, continuiamo a non comunicare, a non capirci…quanto sarebbe più semplice se ci sentissimo cittadini del mondo e veramente fratelli d’Itallia (e oltre)?? 
PS proposta per NTV: treno supersonico Nola-Isolachenonc'è!


venerdì 25 febbraio 2011

Come funziona la batteria dell'auto?


Mi sono imbattuta in un testo davvero singolare. L’essere umano, o meglio, l’energia dell’essere umano è paragonata alla batteria dell’auto. Si parte dal presupposto che la nostra energia è esauribile, e che dobbiamo investirla bene, per essere soddisfatti della nostra vita. Di seguito il testo citato.

“Possiamo arrabbiarci, pestare i piedi o lamentarci, ma il risultato non cambia: abbiamo un certo quantitativo di energia a disposizione e il nostro compito è gestirla al meglio. Come funziona la batteria dell’auto?
1.      La batteria dell’auto ha un polo positivo e uno negativo, ed entrambi sono assolutamente necessari!
2.      Si autoricarica con l’uso corretto. Cioè, se riaccompagniamo qualcuno e ci intratteniamo, con l’auto spenta e la radio accesa, non sorprendiamoci se non si accende: questo non è un uso corretto.
3.      Se non viene utilizzata, si scarica.
Pensiamo a noi, esseri umani:
1.      Viviamo esperienze positive e negative ed entrambe ci sono assolutamente necessarie.
2.      Ci autoricarichiamo con il rispetto di noi stessi. Una precisazione: rispetto è quando ci consentiamo di fare e dire in libertà ciò che ci piace.
3.      Quando non facciamo nulla che ci piace, ci soddisfa, ci entusiasma, ci scarichiamo. Un depresso cronico passa la maggior parte del suo tempo a letto, non fa nulla, eppure è sempre stanco. Un amante della corsa, invece, può tornare a casa stanco dopo una giornata di lavoro e andare a farsi una corsetta rigenerante. E dopo una doccia, la stanchezza sarà scomparsa e la serata aperta alle più diverse possibilità.
Provate a pensare alle attività nelle quali investite le vostre energie (batteria), fate un elenco e poi dividete la batteria in tante parti quante sono le voci della lista. Ora verificate che l’investimento in ciascuna delle parti abbia un ritorno”

…se hanno un ritorno investite, altrimenti DESISTETE E INVESTITE SULLE COSE CHE VI FANNO STARE BENE!!