Dedicare la propria tesi ai colleghi laureati è sintomo di estrema sensibilità al sentire comune. In questa Italia, divisa e dilaniata dal vedersi e sentirsi diversi l’uno dall’altro, l’unica cosa che accomuna la mia generazione, e quelle temporalmente affini, è la precaria prospettiva di progetto e di vita.
Una volta la discussione della tesi ed il conseguimento della laurea rappresentavano un traguardo, uno dei pochi e meravigliosi obiettivi, neanche tanto difficili da raggiungere: un’adeguata formazione (accademica o meno), un lavoro adeguato alle proprie competenze, una bella casa dove poter vivere insieme alla famigliola costruita.
Gli obiettivi di ieri, neanche troppo fantasmagorici, oggi sono diventati un miraggio. Il mondo e le prospettive sono cambiate; i latini dicevano “O tempora, o mores!”.
Ma se cambiamo prospettiva, così come ci suggerisce il buon senso, possiamo vedere che in realtà non è che siamo andati tanto avanti, anzi, siamo tornati indietro; e non solo perché figli del Villaggio Globale, bensì artefici e protagonisti di una struttura della vita per certi aspetti simile a quella dei nostri bisnonni, ma sicuramente mutati nei legami e nelle interpretazioni.
Gli stessi valori ed obiettivi sono cambiati, o regrediti, e non per forza nel senso negativo.
Il concetto di lavoro stabile non esiste più, come non esisteva nel Paleolitico. Il valore del nucleo familiare si è trasformato: spesso, infatti, assistiamo alla cura diffusa della famiglia: nonni, zii, cugini; molto comune nell’ottocento. Lo stesso concetto di matrimonio si è evoluto nelle coppie di fatto (almeno in paesi più “visionari”), e l’affitto della casa si divide con la nuova famiglia di supporto, con i coinquilini e gli studenti, senza legami di sangue ma legami non meno autentici per quanto riguarda la visione della vita comune.
Tempo fa, un mio collega laureato, Stefano L., come massima forma di provocazione, ha pubblicato un annuncio in Rete: “Vendo Laurea”.
Il suo è un messaggio disperato, fotografa bene l’attuale valore del pezzo di carta, buono per costruire aeroplanini leggeri per far volare via le nostre illusioni.
Dedico la mia tesi a lui e a tutti i suoi colleghi laureati (me compresa), con l’auspicio di riuscire a trovare un nuovo e sano posto nel mondo, senza aspettare la manna dal cielo o dei messia di turno, ma inventori di nuove regole, di rinnovati valori; più sicuri con una buona formazione, e meno illusi dei nostri genitori.
Sta a noi cambiare il corso degli eventi, e solo se riusciamo a comprendere questa evidente verità, riusciremmo a non ritenere necessario vendere le nostre illusioni al miglior offerente.
Oggi, per me, si chiude un lunghissimo capitolo della mia vita, fatto di ovatta e campane di vetro, sacrifici superati e tante soddisfazioni festeggiate.
Speriamo che me la cavo!