venerdì 28 gennaio 2011

Una questione di principio!!!

Ma cazzo! Pardon, che cavolo!! È una questione di principio, lo ripeto in grassetto metaforico. Basta con i soliti giri di walzer, con gli scoppiettanti trenini ululanti “Brazil, Brazil”, cerchiamo di essere persone consapevoli, quindi serie. La frase che più non sopporto è “Ma perché ti arrabbi, mica ce l’ho con te? Era per dire. Hai la coda di paglia??”. Insomma, quando ti rimproverano che un ragionamento lo prendi troppo sul personale. Ma perché non dovrei prenderlo sul personale? Come faccio a parlare con te ed essere qualcuna diversa da me, senza tenere conto del mio mondo relativo? Basta! Basta con l’ipocrisia dilagante, con i non-detti perché è figo, con le masturbazioni mentali di turno! Siamo seri!! Non voglio lontanamente accennare alla cronaca italiana di questi giorni, ma se ci penso, cazzo, ma che fine hanno fatto i principi morali? Ognuno di noi ce l’ha! O almeno ce li aveva. Poi, come sempre regna la flessibilità, la moda, la superficialità per il vivere comune, e allora i principi sono scomodi, zavorre, stronzi da sciacquone! Eppure mi viene spesso in mente l’ennesima esibizione di Benigni che recita Kant, e lo fa, ovviamente , in modo divino, tipico dei geni-folli amici di Dio :”Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me!”. Sveglia… riappropriamoci della nostra legge morale, indigniamoci con forza delle schifezze intorno, e prendiamo le cose sul personale, perché altrimenti si rischia di non dare il giusto valore alle cose che accadono, alle cose che ci attanagliano, alle persone con cui parliamo, e quindi, a noi stessi! Svegliaaa!... S’e fatto tardi pure stasera.


mercoledì 26 gennaio 2011

Ciò che è, non è. Ciò che non è, è.


Questo detto taoista racchiude il segreto dell’essere umano. Ciò che siamo, ciò che diciamo di essere, ciò che diciamo, alla fine è sempre messo in discussione, al punto di farci perdere e diventare il contrario dell’inizio. E viceversa. Quante volte pensiamo, affermiamo delle idee che in realtà non sono quelle che crediamo? O non ne siamo convinti fino in fondo? Lo facciamo perché recitiamo una parte, un ruolo che fa parte di una commedia più ampia, con una sua sceneggiatura e attraverso di essa cerchiamo di raggiungere obiettivi personali; e poi, affinchè gli altri non capiscano i nostri reali obiettivi, diciamo il contrario, siamo il contrario, fino a non ricordare neanche più perché non siamo stati onesti con noi stessi.


mercoledì 19 gennaio 2011

L'idioletto VS la rivoluzione


Ogni tanto, solo se giustamente stimolata, mi metto a fare disquisizioni filosofiche talmente astruse e del tutto improvvisate, che quando escono fuori, mi stupisco sempre con quali occhi guardo il mondo. Si parlava di politica, e come puoi esimerti di questi tempi, o meglio, si parlava della buona politica che non abbiamo da tempo in Italia, e ragionando, è saltato fuori un pensiero tanto semplice quanto folgorante. Si teme la rivoluzione delle masse, l’eroe-operaio a fine mese non riesce a dar da mangiare alla famiglia, gli studenti-precari ormai non riescono più neanche a immaginarsi un futuro migliore (la tv ha cesellato anche il modo in cui è giusto illuderci), le nonne portano a spasso i nipotini tra cumuli di monnezza e fetore…insomma, prima o poi, la rivoluzione s’ha da fare! Eppure, io credo che sarà difficile che questo avvenga, perché non parliamo più lo stesso linguaggio; non sappiamo comunicare tra noi, gli uguali bisogni che abbiamo. Se l’impiegato della FIAT vota contro l’operaio, se riusciamo a vedere i tg che ci propinano le stesse immagini della porno-politica senza indignarci, se accettiamo di lavorare molte ore e di essere pagati una miseria, allora vuol dire che non parliamo più la stessa lingua; non capiamo il fratello di fronte, non abbiamo più un codice comune attraverso il quale sforzarsi di capirci! Sarà l’effetto dell’anti-globalizzazione: non più prodotti uguali per tutti, ma tanti prodotti quanti sono gli acquirenti! La personalizzazione sfrenata, l’abusivismo dell’egocentrismo, e mentre ci preoccupiamo di scegliere il colore particolare, o la maglietta stampata su misura, cominciamo, senza accorgercene, a parlare una lingua personale, un idioletto  individuale, e perdiamo l’abitudine a cercare di comunicare davvero. Ergo, solo se riusciamo a imparare a parlare di nuovo lo stesso linguaggio, avremo una possibilità di capirci, e sicuramente, perlomeno una possibilità in più!


martedì 18 gennaio 2011

Post dai Lettori...by A. M.

Nunziaaaaaaaa!! Contesto subito il tuo teorema!
Allora..
1) Azioni e reazioni sono forze.. Per "uguale" s'intende che azione e reazione sono forze che hanno stessa intensità e stessa direzione, e per "contaria" semplicemente che han verso opposto. Quindi, trasferendo il tutto nella vita quotidiana, se dai questo ----> ricevi questo <---- , ma non nel senso che ti torna indietro in modo avverso! Il verso contrario ti indica solo che ti tornerà quel che hai dato!

2) Non puoi mescolare una legge scientifica con una legge umanistica, quindi ti abolisco il contrappasso come corollario, prrrrr!!

3) Tornando all'applicabilità del terzo principio della dinamica nella vita reale.. L'errore che hai fatto tu è di considerare solo le forze di contatto tra due corpi: se lavoro bene il mio capo mi pagherà quanto merito, se do tanto ad una persona quella stessa persona mi deve dare altrettanto, ecc..
Ma in fisica esistono anche le forze che agiscono a distanza.. Ed io le introdurrei nella vita reale per dirti che non puoi dimostrare che nella vita reale non sempre se fai qualcosa di positivo ti torna qualcosa di altrettanto positivo.. Perchè visto che ci sono le forze che agiscono a distanza, magari quel positivo che ti tornerà non proviene necessariamente da dove te lo aspetteresti tu pensando solo alle forze di contatto!
Quindi.. Non essendo dimostrabile il contrario, non pensare mai più che non valga la pena comportarti come so che ti comporti tu, tsè!

lunedì 17 gennaio 2011

Amabili Resti

Amabili Resti è quel film che incarna a pieno la definizione “…di una bellezza struggente”. Si muove sulla falsariga di “Al di là dei sogni”; una ragazza muore e non riesce a distaccarsi dalla sua vita sulla terra, non riesce a immaginare che le storie degli altri continuano a scriversi senza la sua partecipazione. Il difficile distacco che non si riesce ad avere quando teniamo alle cose, e non siamo responsabili della loro fine; quando ci trasciniamo come reliquie, i nostri amabili resti, i nostri ricordi migliori e le emozioni ad essi legati. Arriva il giorno in cui, però, ti rendi conto che le vite si separano, che il distacco è inevitabile, e che stai già camminando su una nuova strada, e con diverse scarpe Alla fine, solo quando cominci a indossare le nuove abitudini, i nuovi sogni, i nuovi traguardi, proprio come la protagonista, sei sulla buona strada per cercare il tuo pezzetto di paradiso. Un bel film, e infatti, non ve lo consiglio.

lunedì 10 gennaio 2011

Uno, nessuno, 100mila!

Oggi ho letto un post su fb, ormai sempre più fonte di ispirazione, sulla questione delle maschere sociali che indossiamo secondo le occasioni. Da brava lettrice di Pirandello (ho fatto davvero il tour di un anno di novelle e non solo) non ho trovato la cosa particolarmente stra-ordinaria o particolarmente nuova, ma mi sono fermata a riflettere su quando vestiamo panni che ci stanno stretti o larghi in relazioni più intime. È naturale che, in base ai mille contesti diversi in cui ci troviamo, noi ci adattiamo alla forma o alle aspettative di turno; siamo quello che dovremmo essere o che sembriamo essere se reputiamo sia utile e conveniente farlo. Ciò che però non riesco a capire è come si fa a non essere se stessi nei rapporti più stretti, con gli amici o con i partner. Oddio, se ragioniamo su un continuum, ci sono diversi livelli di amici, e anche di partner (considerando la frequentazione), però è vero che nel post ispiratore si faceva riferimento al pericolo di non riconoscere le tappe, e quindi il momento in cui dobbiamo smettere i panni degli altri e finalmente rivestirci dei  nostri, col rischio di non avere una personale identità, ma una, nessuna e centomila! La scarsa fiducia che riusciamo ad avere in noi stessi e che quindi non trasferiamo agli altri, non ci consente di svelarci per quello che siamo; buoni o cattivi, ma noi stessi, nudi e crudi, e magari indigesti, ma almeno veri fino in fondo e sicuramente degni delle migliori amicizie e delle più romantiche love story.


sabato 8 gennaio 2011

Il terzo principio della dinamica

Il terzo principio della dinamica recita “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria” è una legge fisica ampliamente dimostrabile, eppure se la scardiniamo nel significato delle parole, ci rendiamo conto che non è sempre come dice Newton. Procediamo con ordine e dimostriamo l’applicabilità della legge nella vita quotidiana. Immaginiamoci un ambito di azione, il lavoro, o l’amore, la salute la lasciamo stare. Da illusi di prim’ordine, siamo abituati a pensare che se lavoro sodo, mi impegno, il mio datore di lavoro mi tratta bene e mi paga quanto merito; se sono innamorato del mio partner, sono sempre presente, l’ascolto quando ha bisogno di me, sono la persona più felice del mondo e la mia vita scorre serena. Ad ogni azione positiva corrisponde una reazione positiva uguale (se l’azione è negativa, idem la reazione) e contraria (reciproca). Ma se noi analizziamo la nostra vita reale vediamo che le cose non sono sempre così. La famosa legge del contrappasso potrebbe fare da corollario al nostro principio della dinamica, perché, sebbene per analogia si verifica ciò che abbiamo detto sopra, è vero anche che per contrario, le azioni non sono sempre “uguali e contrarie”. Non è vero che se mi faccio un c…uore gigante a lavoro, il mio boss mi tratta meglio, o mi paga quanto merito; e il più delle volte, seppure diamo ai nostri sentimenti le dovute attenzioni, queste migrano ugualmente verso altre sponde. Come a dire: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale (di uguale intensità) e contraria (avversa a te). C. v. d.


mercoledì 5 gennaio 2011

C'era una volta un contadino cinese...

C'era una volta un contadino cinese...la conoscete questa parabola? Riassumendo il suo pensiero era che qualsiasi evento accadesse, sia cattivo che buono, lui non si scomponeva, non si disperava nè gioiva a secondo dei casi, semplicemente aspettava che il tempo facesse il suo corso, e in base a come l'evento si sarebbe evoluto, avrebbe giudicato l'accadimento negativo o positivo. Quante volte ci è capitato di essere arrabbiati perchè abbiamo avuto la sfortuna di perdere il treno e nell'attesa abbiamo fatto un bell'incontro?? A me questa fortuna non è ancora capitata (sebbene ancora ci spero), però magari quell'incontro si sarebbe rivelato il peggiore della mia vita...e chi può saperlo? Beh, la mia idea è quella che dovremmo riuscire a misurare le cose, saper riconoscere e vivere fino in fondo tutti i momenti belli, investendo il nostro tempo con parsimonia, senza avere fretta di arrivare e consumare la bellezza nascostavi, lasciar decantare la nostra gioia, senza per forza vivisezionarla, perchè poi, si rischia che la sfortuna ce la tiriamo addosso!

il link della parabola: http://www.reghellin.it/tesoro/contadino_cinese.htm


lunedì 3 gennaio 2011

Elementare Watson!

Sapete qual è il problema dell'ovvietà? L'ovvietà stessa, la sua stessa natura. Quando sentiamo le solite frasi fatte che conosciamo a memoria, non gli diamo più peso, non ne poniamo più attenzione. "Il tempo guarisce tutte le cose", oppure "Morto un papa se ne fa un altro", o ancora "Chi non risica, non rosica"....tutte scontatissime, ma tutte maledettamente realistiche! C'è un filmetto, Interstate 60, ve lo consiglio, supportato da bravi attori, nel quale c'è una scena di un dottore che mostra al protagonista una carta francese di picche rosse, e l'altro, senza pensarci, dando per scontato che la forma e il colore indicassero una carta di cuori, sbaglia a dare la risposta. La scontatezza dell'ovvietà lo trae in inganno. L'ovvietà è elementare, ma non il suo riconoscimento e la sua morale!!



Perdere o non perdere

Qualche post fa...si vede che le idee cominciano a scarseggiare, ho pubblicato una poesia di elizabeth bishop intitolata "l'arte di perdere". perchè, come ben si sa, anche nel perdere ci vuole stile...e soprattutto intelligenza per imparare e, cosa importante, per non perseverare negli errori. beh effettivamente, giocare per vincere fa molto più sangue rispetto alla mera partecipazione, e quindi quando il napoli perde, o perdiamo la circumvesuviana, o perdiamo una scommessa, nonostante l'abitudine a non vincere sempre, restiamo sempre largamente delusi, al punto che quasi quasi ci allontaniamo dal rischio di perdere. Eppure chi non risica non rosica...ma poi, perchè dovremmo avere paura di perdere? cos'è che scatta? un meccanismo di autodifesa, di autostima, di autorealizzazione??? non dovremmo nasconderci dietro i nostri eroici preconcetti, le nostre fallaci illusioni, e imparare invece a perdere di più, piuttosto che sperare di vincere sempre, perchè riusciremmo a dare migliore prospettiva e giusta misura alle cose, e quindi a noi stessi, alle persone che incontriamo e a tutte le avventure che affrontiamo...tutto sommato, a me non piace vincere facile!!